Lo scacchiere mondiale ha visto nell’ultimo trentennio continui stravolgimenti sul piano della visione geopolitica. Con il crollo dell’Unione sovietica il mondo, fino ad allora bipolare, assisteva alla consacrazione del primato statunitense.
Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, da Washington vengono pianificate operazioni militari che avvieranno una nuova fase storica di interventi mirati, non più a conflitti scoppiati come accaduto in Iraq durante l’occupazione del Kuwait o ancora prima in Vietnam, bensì “contromisure” belliche con lo scopo di prevenire e fronteggiare situazioni ritenute “pericolose”.
Nell’ottobre 2001, l’amministrazione Bush avvia l’invasione dell’Afghanistan dichiarando guerra ad al-Qaida e scavalcando, di fatto, ogni decisione spettante agli organismi internazionali. Il 20 marzo 2003 gli Stati Uniti, alla guida di una coalizione di “volenterosi”, Gran Bretagna, Australia e Polonia fra gli altri, attaccano l’Iraq con l’obbiettivo di destituire Saddam Hussein, definito pericoloso per via dei suoi ipotetici rapporti con il terrorismo islamico e per la detenzione, presunta, di armi di distruzione di massa. Ma saranno altri interventi di natura economica e politica, in alcuni casi passati sotto traccia, che riaccenderanno la miccia della “guerra fredda” con la “rinata” Russia.
Si arriva così all’amministrazione Obama e alla polemica innescata dall’allargamento “proposto e imposto” dello scudo missilistico all’Europa orientale. Washington non perderà occasione per ribadire che “il sistema non è stato progettato per minare la capacità di deterrenza strategica della Russia”, ma per Mosca “l’amministrazione Obama cerca di nascondere il reale motivo del sistema missilistico in Europa”.
La Russia ripresasi dallo shock del crollo dell’URSS, forte del nuovo primato come paese produttore di risorse energetiche, ha iniziato a tessere le fila per una nuova rete di rapporti internazionali dalla Cina all’India, dall’Unione europea all’America Latina fino a giungere ai rapporti stretti con quei paesi che Washington denomina “stati canaglia” arrivando a condizionare sia l’agenda internazionale che la politica estera dei singoli paesi, arrivando in alcuni casi a porsi su posizioni ben distinte e contrapposte agli Stati Uniti.
Ma è quel progetto militare pensato da G. W. Bush, e poi concretizzato da Barak Obama dello scudo missilistico per fronteggiare il lancio di missili nucleari da parte dell’Iran, che porterà Putin a dichiarare che Mosca prenderà delle “contromisure” in risposta allo scudo anti missile Usa e “lavorerà anche sui sistemi di attacco capaci di superare qualsiasi sistema antimissilistico”, perché avere i missili della NATO posizionati in Romania, Polonia, Bulgaria e Ucraina a pochi chilometri da Mosca rimane una incombente minaccia e la crisi economica ucraina diventerà l’occasione per tenere a distanza Obama.
Lo Stato di Kiev veniva dalla cosiddetta “rivoluzione arancione” del 2004 e la sua esistenza politica era considerata inconsistente, anni di corruzione, cattiva gestione della cosa pubblica, svalutazione della moneta e stagnazione economica determinavano, sui mercati internazionali, l’impossibilità ad ottenere finanziamenti relegando l’Ucraina alla mercé degli altri Stati e spingendo il presidente Janukovyc a cercare relazioni economiche contemporaneamente con l’Unione europea e Russia.
Nel novembre 2013 al vertice di Vilnius, il presidente ucraino, dinanzi all’offerta dell’Ue quantificata in 610 milioni di euro in prestiti vincolati alla richiesta di necessarie ed importanti riforme legislative, non firma l’accordo di libero scambio e di associazione politica con la stessa Europa ma opta di negoziare con la Russia. Il Cremlino offre 15 miliardi di dollari in prestiti e prezzi del gas più economici. La notizia desta clamore nel popolo che spinto dal desiderio di inconfutabile indipendenza da Mosca, scende in piazza. I raduni, inizialmente pacifici, nel gennaio 2014 dopo l’approvazione del Parlamento ucraino di leggi volte a reprimere la protesta, diventano sempre più violenti.
La Russia interviene stanziando fin da subito, 2 dei 15 miliardi promessi accusando Washington di ingerenza. Prima l’Unione europea e poi gli Stati Uniti esortano Janukovyc a negoziare una fine pacifica del conflitto annunciando sanzioni contro i responsabili delle violenze, mentre nelle stanze della CIA, si lavora già per il post Janukovic.
Dall’altra parte il 21 febbraio, dopo una repressione fallita da parte del governo di Kiev, il primo ministro russo Dmitrij Medvedev, non perde occasione per attaccare l’indecisione del presidente ucraino, definendolo “zerbino”, minacciando che ulteriori tranche del prestito sarebbero state negate. Il 22 febbraio a seguito di scontri cruenti, Janukovyc fugge da Kiev facendo perdere le proprie tracce. Il 27 febbraio 2014 la Russia invia truppe senza insegne ad occupare la Crimea e il 1º marzo la Duma approva la richiesta di Putin di schierare ufficialmente il proprio esercito. La situazione diventa ingestibile la NATO dopo la riunione dei Ministri della Difesa dei Paesi membri a Bruxelles, il 5 febbraio 2015 da il via alla missione “Spearhead force”, con il sostegno delle forze aeree, marittime e speciali pronte all’azione in 48 ore.
La notizia suscita subito la reazione del Cremlino che per voce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, definisce la politica della NATO “distruttiva” e che “l’Alleanza è impegnata nella costruzione di nuove linee di divisione in Europa invece che di profonde e solide relazioni di buon vicinato”. Con i venti di guerra che soffiano proprio lì in quel lembo di terra, crocevia di gasdotti, Obama, prova il riscatto, una ghiotta occasione per affermare il prestigio statunitense e il 29 settembre 2016, a più di un anno dalla visita del Segretario di Stato John Kerry a Kiev, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti approva, ad unanimità, l’atto di “sostegno alla stabilità e democrazia in Ucraina” che prevede, tra le altre cose, la fornitura di sistemi di armi difensive letali. Ma la fornitura di armi non si attuerà perché nel frattempo sono arrivate le presidenziali americane e con esse il nuovo inquilino della Casa Bianca, il “populista” repubblicano Donald Trump.
Una chiarissima esposizione dei fatti,allora bisogna dedurre che il populista Trump conoscesse molto meglio di Biden,la situazione dell ‘Ucraina però non ha mai aizzato rancori e odio che potessero far scoppiare una guerra,come invece sta facendo Biden coadiuvato dall’Europa, perché le colpe non sono mai da una sola parte,magari anche l’ucraino avrà le sue colpe, però siccome è meno potente vuole che tutti siano con lui e contro Putin che certamente non è uno stinco di santo ed è un pericolo mondiale speriamo solo che si arrivi ad una conclusione di pace ☮️